O2: il respiro del vino |
«L’ossigeno fa il
vino» scrisse, ammettendone inoltre
l’importanza nei processi di maturazione e invecchiamento, Louis J. Pasteur nel 1873.
Colui che è da
considerare Il fondatore
dell’enologia moderna, partendo da brillanti osservazioni sulla maderizzazione e sulle malattie del
vino, mise in evidenza il ruolo nefasto dell’ossigeno , ma fu anche capace di
riconoscere la sua utile funzione nella
trasformazione che porta dal vigneto alla cantina. Ne identificò sia il ruolo nei processi
di imbrunimento del mosto alla pigiatura, sia la capacità di accelerare
la velocità di fermentazione del pigiato.
I suoi studi permisero di chiarire la differenza
sostanziale che distingue un
rapido e brusco arieggiamento del vino,
causa di sgraditi fenomeni di ossidazione, da una indispensabile e lenta ossigenazione, chiave di volta dei lenti processi di maturazione che si svolgono nelle botti di legno e che portano
alla maturazione e a una maggior complessità del prodotto.
Finalmente l’ossigeno era indicato come l’elemento
cruciale per l’ottenimento di un
vino di pregio.
In seguito, con il progredire dell’indagine
scientifica e la scoperta di gran parte dei meccanismi alla base di
queste trasformazioni,è stato possibile mettere a disposizione degli enologi strumenti
in grado di gestirne e controllarne l’azione.
L’ossigeno ha un ruolo chiave durante i
processi di vinificazione: le diverse azioni che esercita prima, durante e dopo la fermentazione sono tali e tante da condizionare in
modo decisivo le caratteristiche
del prodotto finito, nonché le reazioni che coinvolgono i composti
di origine polifenolica nel corso della sua conservazione.
Solo
recentemente, però, l’enologia le ha in parte chiarite imparando a sfruttarle e
controllarle al meglio. Uno degli aspetti più dibattuti in questi
ultimi anni è la funzione dell’ossigeno nella fase di “affinamento” del vino.
Ascoltando i pareri di diversi enologi, quelli che realmente e attivamente lavorano in
cantina, molti sono stati
i mutamenti durante gli ultimi 20-30 anni nel modo di fare vino rosso: le cure
al vigneto, le modalità di macerazione, la tecnica dell’invecchiamento.
Si perché una
volta si chiamava “tecnica di invecchiamento”, oggi si tende a definire questo
processo "affinamento" e non solo perché il nome è più elegante, ma soprattutto
perché attualmente il mercato richiede che i vini, con alcuni anni di vita,
siano sempre strutturati e corposi, ma morbidi e vellutati e che conservino la fragranza
e il fruttato della gioventù, senza note ossidative o sensazioni maderizzate,
che invece erano tollerate e, anzi, piacevano un tempo. Anche per quanto
riguarda il colore si cercano le tonalità del rubino, del granato, mai
aranciato o “mattonato”. Tutto ciò ha cambiato radicalmente la tecnica di
affinamento.
Oggi si dà
moltissima importanza all’evoluzione del vino in ambiente ridotto, cioè in
bottiglia, mentre la sosta in ambiente ossidativo, cioè nelle botti di legno
più o meno grandi, comunque altrettanto importante se non di più, serve
soltanto a prepararlo al successivo affinamento in bottiglia.
Consideriamo ora la micro-ossigenazione, processo che ha fatto molto parlare di sé negli ultimi tempi.
A tal proposito
si è visto che i grandi vini rossi da invecchiamento hanno bisogno di ossigeno
per evolvere positivamente, soprattutto per la condensazione degli antociani
con i tannini, antociani che abbiamo imparato ad estrarre con un più attento
uso della temperatura in fermentazione, ma che dobbiamo poi fissare, facendoli
appunto reagire con i tannini.
Ed ecco che,
contrariamente a quanto si faceva un tempo, oggi si va prestissimo nel legno
(alcuni produttori addirittura subito dopo la svinatura), sicuramente appena
terminata la malolattica, in ogni modo ancora nell’anno della vendemmia; nel
legno nuovo, naturalmente, perché dopo un po’ di anni le doghe delle botti
perdono la loro porosità all’aria. Micro-ossigenazione naturale, quindi,
attraverso un precoce utilizzo del legno nuovo.
Ovviamente il
legno non si ferma alla micro-cessione graduale dell’ossigeno; i tannini nobili
della quercia contribuiscono alla condensazione di quelli del vino, pertanto
all’evoluzione positiva del colore e della rotondità degli stessi, che
aumentano il peso molecolare, diventando più morbidi. Inoltre alcune sostanze
odorose del legno (soprattutto se tostato) contribuiscono ad arricchire il suo
bouquet.
Sono cambiati
pure i tempi di permanenza; una volta si lasciava il vino anche alcuni anni nel
legno, mentre oggi 12-18, al massimo 24 mesi sono più che sufficienti.
Variata è anche
l’età della botte; se è vero che il legno ha funzione di micro-ossigenare, di
cedere tannini nobili e sostanze odorose che arricchiscono il vino, è
altrettanto vero che questo si verifica tanto più la botte è nuova; da vecchia
non dà più tutto questo, quando non trasmette addirittura sentori e gusti
sgradevoli.
Il punto focale
che ha decretato lo straordinario successo delle barriques in tutto il mondo è
proprio questo: il loro benefico effetto sul vino, dovuto più all’età che non
alle dimensioni, è stato paragonato a quello delle botti vecchie di grande
capacità. Ed è questo che bisogna rimarcare: è stata l’età, più che la dimensione
dei contenitori a fare la differenza, tant’è vero che alcuni produttori stanno
tornando ai grandi fusti, nuovi però.
Nel periodo
della permanenza in legno, il vino ha bisogno di essere controllato sovente.
Una certa quantità di solforosa libera è necessaria per una corretta
evoluzione, mentre colmature almeno mensili ci pongono al riparo da brutte
sorprese. Se il vino è stato messo prestissimo nel legno, occorre anche fare un
travaso o due nei primi dodici mesi.
Non è facile
stabilire il periodo ideale per togliere il vino dalle botti e passarlo in
bottiglia; di solito coincide con il momento in cui esso smette di diventare
rotondo e morbido, per ricominciare a divenire spigoloso e asciutto. Pertanto
solo con la degustazione attenta e costante e con la propria esperienza
personale si può determinare questo momento.
Per iniziare il
lungo affinamento al riparo dall’aria il vino passa quindi in bottiglia e in
questa fase sono indispensabili una buona filtrazione per ridurre la carica
microbica e un’aggiunta di solforosa per proteggerlo dall’ossidazione, perché
in seguito non si può più intervenire, ma unicamente osservarne l’evoluzione,
sperando di aver dosato in modo corretto tutti i vari processi di elaborazione.
Parallelamente
alla micro-ossigenazione naturale, si è affiancata una nuova tecnica chiamata
micro-ossigenazione controllata, cioè attraverso una apparecchiatura che dosa
in modo affidabile micro quantità di ossigeno nel vino. E’ dimostrato
che la dissoluzione lenta e continua dell’ossigeno gioca un ruolo positivo
nell’evoluzione di molti vini.
L’ossigenazione controllata non è un concetto nuovo poiché
per secoli il vino è stato invecchiato in contenitori in legno (più o meno
permeabili) e tuttora gli scambi gassosi sono considerati ottimali appunto nelle
barriques. Nei recipienti impermeabili, invece, risulta sempre
difficile stabilire la quantità di ossigeno necessaria oltre la quale si
incorre nell’ossidazione, (il ruolo nefasto
dell’ossigeno di cui parlava Pasteur).
La constatazione che i risultati ottenuti con la conservazione del vino in legno non erano raggiungibili con gli altri tipi di contenitori, ha condotto un viticoltore francese, Patrick Ducourmau, tra il 1989 e il 1993, a mettere a punto la tecnica della micro-ossigenazione.
La constatazione che i risultati ottenuti con la conservazione del vino in legno non erano raggiungibili con gli altri tipi di contenitori, ha condotto un viticoltore francese, Patrick Ducourmau, tra il 1989 e il 1993, a mettere a punto la tecnica della micro-ossigenazione.
Tale metodo è stato poi sviluppato e diffuso, dimostrando
di poter rendere i vini più stabili, più colorati e ricchi, più ampi e
caratterizzati da maggior volume e presenza tannica.
Nello stesso tempo si
ottiene la scomparsa degli stati di riduzione e del carattere vegetale e
“duro”. Tutto quanto si ripercuote sul carattere aromatico che, evolvendo
lentamente, conserverà note più fresche e fruttate.
Il prof. M. Moutounet dell’ INRA di Montpellier, che ha
studiato a fondo il fenomeno, spiega che la tecnica della micro-ossigenazione
comporta due fasi essenziali nell’affinamento del vino.
Il primo periodo detto “fase di strutturazione” comporta un aumento dell’intensità
colorante e del carattere tannico.
Nel secondo periodo detto “fase di armonizzazione” i vini si ammorbidiscono, aumenta la
complessità aromatica e scompare il carattere vegetale.
Un fatto comune che si è evidenziato nell’uso di questa
tecnica è la rilevanza che assume l’esperienza
personale. La micro-ossigenazione è una tecnica
nuova in grado di “crescere” molto, gli apporti di coloro che la utilizzano saranno
preziosi nel miglioramento delle conoscenze sulle applicazioni e sulle
caratteristiche degli impianti.
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