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Louis Pasteur

Louis Pasteur e l’evoluzione della ricerca medica
QUEGLI ”ANIMALETTI” DENTRO LE BOTTI DI VINO... 



Dal ‘600 in poi le conoscenze sul corpo umano erano andate migliorando. All’inizio dell’Ottocento si era arrivati a stabilire abbastanza correttamente la posizione di ossa e vasi sanguigni, e le funzioni della maggior parte degli organi. 

Le malattie però rimanevano ancora un mistero: da cosa erano causate? come si trasmettevano? Come si curavano? I rimedi si basavano ancora sulla tradizione e sull’esperienza dei medici più che su una ricerca scientifica vera e propria, come quella che si fa ai giorni d’oggi nei laboratori.

Prendiamo per esempio la cura contro il vaiolo, una terribile malattia che allora infuriava in tutta Europa. Il vaiolo era molto contagioso, spesso mortale, e sul corpo di chi veniva colpito spuntavano delle orribili bolle.

Rifacendosi a un’usanza dei contadini della Turchia, i medici europei iniettavano negli individui sani il liquido contenuto nelle bolle delle vacche colpite dalla malattia. Alle persone così infettate veniva una leggera febbre, ma sopravvivevano al vaiolo.

Non si trattava che del primo vaccino della storia, la parola “vaccino” viene proprio da “vacca”, ma era soltanto un caso fortunato. 

In realtà i medici continuavano a ignorare le cause del vaiolo, e i primi dottori somministravano il vaccino con le dita incrociate, sperando che i pazienti non morissero. Chi era in grado di spiegare perché il metodo dei contadini turchi funzionava? Nessuno.

La scienza non procede in questo modo, per andare avanti ha bisogno di spiegazioni precise. Le trovò, mezzo secolo più tardi, in una cantina piena di botti di vino andato a male. 

Nel 1856 fu chiesto a un giovane chimico francese di nome Louis Pasteur, di trovare un modo per evitare l’inacidimento di grandi quantità di vino, cosa che generalmente avveniva durante la fermentazione del mosto.

Il problema era delicato, quintali di vino andavano buttati ogni anno senza che nessuno fosse in grado di scoprirne la causa. E questa volta non c’era l’esperienza dei contadini turchi o di chissà chi altri a consigliare il da farsi! 

Tutto ciò che si sapeva era che per trasformare il mosto in vino bisognava aggiungere nelle botti un particolare lievito. Eppure, senza nessun apparente motivo, alcune botti davano il vino buono e altre dell’orribile aceto. Perché?

Pasteur, che era un chimico, a differenza della maggior parte dei medici dell’epoca aveva una certa familiarità con il metodo sperimentale. Si mise quindi a studiare quel lievito da scienziato, con microscopio e provette. 

Scoprì così, con sua grande sorpresa, che si trattava di una sostanza animata. In altre parole il lievito era composto da minuscoli “animaletti”, che “digerivano” il mosto e lo trasformavano in vino.

Non solo: nel vino buono gli “animaletti” avevano forma tondeggiante, mentre in quello andato a male erano più allungati. Pasteur fece due più due e concluse che quegli “animaletti” dalla forma allungata erano i responsabili dell’inacidimento del vino. 

Provando e riprovando riuscì a trovare il metodo per distruggerli senza nuocere a quelli “buoni”, bastava riscaldare il mosto a una certa temperatura.

Il problema dell’inacidimento del mosto era definitivamente risolto, con grande sollievo per i produttori di vino.Quel processo venne chiamato in suo onore “pastorizzazione”, ed è usato ancora oggi per sterilizzare un gran numero di alimenti.

Pasteur aveva scoperto i batteri (così vennero chiamati quegli “animaletti”). Gli venne quindi un’altra idea: vuoi vedere che, così come danneggiano il vino, ci sono batteri “cattivi” che provocano malattie nell’uomo? Grazie a una serie di esperimenti dimostrò l’esistenza di quei batteri e insegnò come combatterli. La sua ricerca salvò la vita di migliaia di persone. 

Ma il merito più grande di Pasteur non fu questo, né ovviamente la soluzione del problema del vino. L’importanza del suo lavoro sta nel fatto che era stato condotto con metodi scientifici, e non provando a casaccio o fidandosi ciecamente della tradizione (o, peggio, dell’intuito) come facevano molti medici.

Pasteur aveva cioè mostrato come nella lotta contro le malattie l’esperienza personale del medico doveva essere necessariamente accompagnata da osservazioni ed esperimenti, con il microscopio e gli altri strumenti di laboratorio. Solo così la ricerca medica avrebbe potuto progredire. 

Gli studi sui batteri andarono avanti e rivelarono l’esistenza dei virus, microorganismi ancora più piccoli, responsabili di molte malattie tra cui il vaiolo. 

Nel 1928 fu scoperta la penicillina, antenata di una serie di potenti medicine ormai di uso quotidiano: gli antibiotici.

Perciò se oggi, al primo accenno di infezione potete prendere un antibiotico, senza esagerare, ringraziate mentalmente Pasteur, e quelle botti di vino francese andato a male.

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