Viticoltura di montagna e vini a “residuo zero”: se ne è
parlato a Cembra (TN) nel corso della XXVII Rassegna Vini Müller Thurgau
Il titolo del convegno tecnico che si è svolto a Cembra
nell’ambito della XXVII edizione della Rassegna Vini Muller Thurgau era
“Viticoltura di montagna e vini a residuo zero: quale rapporto”. “Residuo zero”
significa vino privo di residui non solo di fitofarmaci, ma anche di altre
sostanze inquinanti o in diversa misura pericolose per la salute umana
Vini bio e
biodinamici. Se nel titolo si fosse fatto esplicito riferimento alle
varietà di vitigno resistenti alle malattie crittogamiche, la cui disponibilità
a livello mondiale è in continua crescita, il legame logico con vini a residui
zero sarebbe risultato evidente e immediato. I relatori hanno pertanto affrontato
l’argomento ciascuno sulla base dell’esperienza e competenza professionale, ma
senza attenersi rigidamente all’argomento vini a “residuo zero”. Paolo
Massobrio ha aperto la serie degli
interventi premettendo che il vino deve essere prima di tutto buono e
piacevole. Ha quindi tenuto distinti i vini convenzionali, i vini biologici e i
vini biodinamici. Il confronto fra i tre tipi di vino è spesso inquinato da
posizioni ideologici contrastanti. A prescindere dalla triplice distinzione,
vale – secondo Massobrio – il principio che il vino deve essere proposto
partendo dal territorio e dalle storie di chi lo produce. Massobrio si è poi
soffermato sui vini biologici e biodinamici, annotando che in base alla sua
esperienza, molti viticoltori/cantinieri li producono ma non lo vogliono far
sapere e spesso limitano la produzione a poche migliaia di bottiglie. Massobrio
non ha parlato di vitigni resistenti.
Ci sono vini buoni e
vini cattivi. Secondo Marco Tebaldi (responsabile progetto “Free Wine”) la
prima distinzione importante da fare è tra vini buoni e vini cattivi. Non ci
sono solo vini convenzionali, vini biologici e vini biodinamici. Vi si devono
aggiungere le varianti più o meno fantasiose che qualche produttore
maldestramente propone e racconta per attirare l’interesse dell’acquirente. Nel
mondo c’è spazio per tutti i vini che si producono. Importante è riuscire a
farli recepire dal consumatore e, quindi, acquistare a prezzi remunerativi per
chi li produce e commercializza. La salubrità è un requisito che fa aggio
legale rispetto ad altri requisiti, ma deve essere certificata sulla base di
procedure ufficiali sancite da norme europee e nazionali. La salubrità va
intesa sotto due aspetti: assenza di sostanze dannose e/o presenza di
componenti che fanno bene alla salute. Salubre riferito ad un vino non è però
sinonimo di vino naturale o genuino inteso come vino prodotto secondo antica
tradizione. Un vino salubre nasce da un processo supportato da conoscenze
scientifiche testate che lo rendono non solo sicuro igienicamente ma anche
ripetibile e capace di durare. Ciò a differenza del vino di una volta, fatto in
azienda, buono fino a pochi mesi dopo la fermentazione normale, ma non oltre.
La premessa ha consentito al relatore di concludere il suo intervento
illustrando il profillo della sua azienda che è nata nel 2008 ed è appunto
riconoscibile dal logo “Free Wine” da intendere come vini liberi soprattutto da
solfiti. Non da residui di fitofarmaci.
“Dal vigneto alla
cantina, al banco di vendita”. Emma Clauser (titolare dell’azienda agricola
biologica “Molino dei Lessi”, viticoltrice ed enologa) ha raccontato
brevemente, ma in termini convincenti e pregni di esperienza vissuta, la sua
vita professionale. Di cittadina laureata in lettere, nativa di Malosco in alta
Val di Non, trasferita dopo il matrimonio sulle colline di Sorni ad occuparsi
di un’azienda viticola fino ad allora coltivata secondo tradizione. Con impegno
e per gradi successivi ha realizzato un vigneto biologico certificato con
annessa struttura di ospitalità e vendita di vini puliti, molto apprezzati
dagli acquirenti e richiesti in continuità dopo il primo approccio. “Apprezzavo
i suoi vini prima di avere visitato l’azienda, ma li apprezzo ancora di più
dopo che ho visto da vicino l’intera filiera produttiva. Dal vigneto alla
cantina, al banco di vendita” è la frase che Emma Clauser raccoglie spesso dai
suoi clienti. Il suo credo biologico è rivolto soprattutto al terreno del
vigneto che non conosce né diserbanti, né concimi chimici, né lavorazioni
profonde e devastanti nei confronti della microflora e microfauna naturale. I
vitigni dai quali ricava i suoi vini biologici non sono geneticamente
resistenti alle malattie (peronospora, oidio) ma a garantire l’assenza di
residui di fitofarmaci di sintesi è il tipo di gestione agronomica e di difesa
dalle avversità. Rame e zolfo rappresentano le armi di difesa basilari e sono
entrambi di origine minerale e non di sintesi industriale. Il programma di
difesa prevede anche il ricorso a prodotti di origine vegetale. Il rispetto per
i nemici naturali degli insetti fitofagi fa parte integrante della gestione
biologica del vigneto.
Solaris, vitigno
resistente a peronospora e oidio. Mario Pojer (vignaiolo, contitolare
dell’azienda viticola e cantina “Pojer-Sandri” di Faedo) ha iniziato
descrivendo i vigneti che fanno capo alla cantina, dislocati a varie
altitudini, dal fondovalle all’alta Val di Cembra, con epicentro sulla collina
di Faedo e dintorni. La prima dichiarazione di Mario Pojer, che interviene per
ultimo, riguarda l’autodefinizione di apprendista giramondo. Dopo il diploma di
enologo all’Istituto agrario di S. Michele si è recato in varie parti del mondo
dove c’era viticoltura e cose nuove da imparare. L’azienda viticola e la
cantina sono nate per tappe successive frutto di grandi sacrifici non solo
economici. La ricerca di spunti ed esperienze vincenti raccolte, assimilate e
spesso tradotte in pratica nei vigneti (25 ettari) e in cantina è stata continua
e non conosce soste. Altra arma vincente per Mario Pojer e il consocio
Fiorentino Sandri è stato il continuo contatto con i ricercatori dell’Istituto
agrario di S. Michele all’Adige che operano nel settore viticolo enologico. Il
vigneto dal quale Pojer produce il vino denominato “Zero Infinito” (6 ettari) è
situato in alta Val di Cembra nel comune catastale di Grumes (1.200 metri di
altitudine). Una parte del vigneto ospita da 5 anni un vitigno poli-ibrido (6
incroci successivi seguendo il metodo tradizionale) denominato “Solaris” creato
presso la Stazione sperimentale di Freiburg. “Solaris” è vitigno resistente a
peronospora e oidio e quindi non richiede trattamenti. Nessun intervento
fitosanitario con anticrittogamici è stato eseguito nell’arco del quinquennio.
La pulizia assoluta da residui (non solo chimici) non è però dovuta solo ai
mancati trattamenti, ma dall’applicazione scrupolosa di una serie di interventi
non invasivi quali la spremitura soffice dell’uva in atmosfera di azoto, il
lavaggio preliminare dei grappoli con acqua per eliminare i depositi portati
dall’aria, l’uso di lieviti naturali quali fattori antiossidanti. Un vitigno
resistente piantato in un ambiente ad esso confacente. Con questa affermazione
Pojer ha concluso il suo intervento. La buona riuscita (140 q.li d’uva per la
prima vinificazione) è dunque legata alla collocazione del vigneto in alta
montagna.
Prospettive. Il
moderatore chiede quali prospettive attendono i vitigni resistenti alle
crittogame. La risposta è duplice: trovano spazio sicuramente nei vigneti
coltivati con metodo biologico, ma possono essere utilizzati anche per
realizzare oasi viticole protettive di siti sensibili quali possono essere i
luoghi vicini a centri abitati, parchi, scuole, asili che non devono essere
inquinati da antiparassitari di sintesi. Le varietà resistenti non richiedono
trattamenti e l’uva prodotta può essere consumata o vinificata senza alcuna
riserva.
Fonte: XXVII Rassegna Vini Müller Thurgau
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